16 Aprile 2008
Cercatori d'incanto
Da duecento anni corti
e sovrani apprezzano le opere d’arte dei Petruzzi. Sei generazioni che hanno
saputo inseguire la bellezza. Dandole forma con l’argento
di Caterina Giojelli
La Grande Guerra aveva
reso anche lui una “talpa”. L’abbraccio fangoso della trincea era diventato la
casa cui far ritorno dalla terra di nessuno, quando finivano gli attacchi e
stupirsi di essere ancora in vita era un po’ come farsi i complimenti per aver
giocato bene a nascondino con la nera signora armata di falce. Allora le talpe
si rilassavano, e c’era tutto il tempo di apparecchiare due chiacchiere col
vicino di tana, ché di tavole imbandite non se ne erano viste nemmeno a Natale.
Era così che Antonio Petruzzi aveva conosciuto Ugo Branca. Bresciano il primo,
erede di una dinastia di mastri argentieri le cui creazioni facevano
romanticamente mostra di sé nelle regge del Vecchio Continente fin dalla fine
del Settecento, imprenditore padovano il secondo. Poco inclini al fatalismo e
con lo spirito pratico di chi ha abbassato solo temporaneamente la serranda
dell’attività per rispondere alla chiamata alle armi, i due giurarono che il
biglietto per tornare dall’inferno lo avrebbero acquistato insieme,
destinazione Brescia, dove le rispettive esperienze si sarebbero unite in
un’unica impresa.
«L’Antica Premiata Fabbrica Argenteria Petruzzi & Branca è nata così –
racconta oggi Antonio Petruzzi, nipote di quell’Antonio che trascorse il
triennio del ’15-’18 coi pensieri rivolti alla «Brescia leonessa d’Italia»
cantata dal Carducci – perché al ritorno dalla guerra i due amici tennero fede
a quanto giuratosi in trincea. E anche se il nonno non l’ho mai conosciuto
potrei raccontare per filo e per segno come andarono le cose, risalendo la
storia fino al 1771, quando il mio avo Luigi Petruzzi si aprì in quel di
Brescia una bottega dove vendere catename da chiesa. In via Orefici 3505,
l’odierna via Mameli».
Ad Antonio Petruzzi vien da sorridere a raccontarla tutta la storia di
famiglia. Una storia tramandata di bocca in bocca per 200 anni e sei
generazioni, che unisce, con un misterioso fil rouge fatto di opere in argento,
la cantina di casa Petruzzi a corti e castelli. Lasciando tracce qua e là del
suo passaggio. «Quando Luigi battezzò il primogenito Giòvita l’anagrafe ancora
non esisteva e conservo ancora un documento di registrazione che già ne
attestava la professione: orafo argentiere. Si era allora sotto la dominazione
napoleonica e accadde che su ordinazione dei francesi Luigi s’inventò una
maglia per catenina particolarissima che, esportata con successo in Francia,
finì per farsi conoscere come “la bresciana”. Dell’epoca di Giòvita abbiamo
recuperato circa 70 banchi di lavoro, un numero di tutto rispetto per
un’impresa che con la seconda generazione aveva iniziato quella lunga
operazione di diversificazione che avrebbe accompagnato le successive: piatti,
vassoi, servizi da tè, caffè, posate, candelabri…».
L’argento lavorato pazientemente a mano per adattarsi a stili, esigenze e
contesti assai lontani dalla realtà di Brescia inizia a ornare Casa Savoia e il
premio alla meritevolezza, consegnato dal sovrano Vittorio Emanuele II nel
1871, valgono ai Petruzzi il migliore biglietto da visita per giungere sempre
più lontano: re Faruk, re Idris di Libia, il re d’Albania, solo per citare
alcuni affezionati clienti del secolo scorso, per arrivare a Paola di Liegi e a
Reza Pahlavi, scià di Persia, negli anni Sessanta, quando a tenere le redini
dell’argenteria sono i fratelli Cesare e Antonio, padre e zio dell’odierno
titolare. «Allora ero un ragazzino che giocava coi martelletti e osservava
ipnotizzato quel materiale liscio che nelle mani degli artigiani si trasformava
in opera d’arte. Intanto sopra di me l’azienda masticava successi e cavalcando
l’onda del boom economico papà e zio avevano avviato una produzione su vasta
scala, andavano in America con poche centinaia di pezzi e tornavano con
commesse per qualche migliaio. Stavamo correndo. E forse anche un po’ troppo».
Antonio ha solo 19 anni quel giorno che si reca al Macef di Milano per aprire
lo stand dell’argenteria. È ancora presto ed è una giornata importante perché
per la tarda mattinata il padre attende, dopo mesi di delicata gestione del
rapporto, i pezzi grossi dei grandi magazzini americani. Antonio sta profondendosi
in un poderoso sbadiglio quando un tizio dotato di 24 ore a capo di un
gruppetto lo apostrofa: «Mr. Petruzzi?». Tre ore dopo, quando il padre arriva
in fiera si trova innanzi il suo ometto sorridente con l’agognato contratto
firmato dagli americani. È il battesimo ufficiale di Antonio nell’impresa di
famiglia. Battesimo che imprimerà una svolta decisiva nella storia
dell’argenteria.
Cosa dorme in cantina
Quando tocca ad Antonio prendere le redini dell’azienda, quello che si trova in
mano è dunque un’attività che corre veloce, un bagaglio di immagini vive di
quegli artigiani spiati da ragazzino alle prese con il cesello e il decoro
dell’argento, una cantina polverosa dove sonnecchiano le attrezzature dei suoi
avi. Proprio in cantina si immerge Antonio, perché tra fax, telefoni che
squillano, merce che vola oltreoceano, vuole ricordare a quale storia
appartiene, capire cosa è rimasto delle chiacchiere di corte davanti a un tè
servito sul vasellame scolpito in Italia e del rumore dei martelletti dei maestri
argentieri che scandirono il tempo della sua adolescenza. Consulta gli archivi
dei disegni tramandati dalla fine del Settecento, rispolvera le attrezzature
del tempo, lucida qualche pezzo andato perso in quella bottega dei ricordi. E
si rende conto che per anni in quel mondo sommerso aveva dormito la vera storia
dell’argenteria, «prodotti diversi l’uno dall’altro, dove l’imperfezione era
sinonimo di unicità e il lavoro artigiano la testimonianza di un patrimonio
irripetibile. Tutte cose che nel mercato, dove vige la legge della quantità e
dell’ottimizzazione dei tempi, erano andate perdute».
Antonio riemerge dalla cantina carico di scartoffie, «ragazzi – dice radunando
la forza lavoro – qui si lavora per un settore che senza storia e tradizione
non va da nessuna parte. Dobbiamo fare un passo indietro per farne due in
avanti, ma per questo ho bisogno di voi». L’Antica Premiata Fabbrica Argenteria
Petruzzi & Branca si rimette all’opera, Antonio vola in Inghilterra dove si
specializza nello studio dei disegni dei grandi esecutori dello stile
consacrato dalla regina Anna all’inizio del XVIII secolo, «lavorato, ma mai
barocco, ricercato ma senza fronzoli. Pochi sanno che il bordo lavorato nelle
collezioni Queen Anne è la riproduzione stilizzata di una zampa felina, un
pelo, un’unghia che alternati danno luogo a una decorazione originale, sobria
ed elegante allo stesso tempo. Questa come le altre linee, l’argenteria
tradizionale dello stile impero piuttosto che la collezione France, che
riunisce gli stili francesi più noti, come il Luigi XV Rococò e il Luigi
Filippo Napoletano, possono essere personalizzate a seconda del gusto e
dell’ambiente in cui l’opera verrà inserita. E non parlo solo di argenteria.
Con Adnan Kashoggi siamo diventati matti per trovare una soluzione di finitura
adatta al suo yacht Nabila».
Sulla tavola di Lukashenko
Oltre al magnate arabo sono in molti ad avere accolto con entusiasmo
l’inversione di rotta della Petruzzi: nel luglio del 1994, durante il convegno
del G7 a Napoli il caffè venne servito a Bill Clinton e a Helmut Kohl in un
servizio in stile Queen Anne; Lamborghini scelse invece un servizio da tè in
stile Luigi Filippo Napoletano come dono di nozze per la regina di Java quando
sposò il figlio del principe Suharto. Vantano le opere bresciane prestigiose
vetrine di Roma, Milano, la Fifth Avenue di Manhattan, la Rodeo Drive di Los
Angeles, e tante collezioni private dal Vecchio al Nuovo fino al Continente
Nero. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, per citarne uno, all’antica
argenteria ha richiesto un servizio di posate eseguite a mano. «Quello russo, e
dei paesi dell’ex blocco sovietico, è un mercato interessante per il nostro
argento 925. Interessante economicamente ma anche come stimolo, rapportare la
nostra a storie culturali diverse è sempre stato il sale dell’impresa. Per
quanto però tu possa spingerti lontano, la bellezza ha sempre un che di
familiare, puoi riconoscerla, cercare di lasciarne una piccola istantanea su un
materiale straordinario come l’argento. Non è facile lavorare per la bellezza,
inseguendola anche a ritroso nel tempo. È un viaggio che non puoi fare da solo,
devi contare su chi ha creduto in te, gli artigiani che pur lavorando oggi in
sedi esterne restano indispensabili compagni di viaggio. Purtroppo – chiosa
Petruzzi – quello dell’argentiere è un mestiere che sta scomparendo. L’Italia è
il primo produttore mondiale di argenteria, ma le sue scuole argentiere contano
sempre meno ragazzi pronti a formarsi in un mestiere antichissimo. Impensabile
cancellarne le tracce». Non c’è riuscita la Grande Guerra coi suoi
uomini-talpa, la testa nascosta nella trincea e il cuore di una Leonessa.
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